Definizione ed epidemiologia

L’emocromatosi è una malattia ereditaria dovuta a difetti nei meccanismi di regolazione del metabolismo del ferro che conducono al progressivo accumulo dello stesso nell’organismo. Se non diagnosticata e trattata in tempo, a causa del sovraccarico di ferro, può provocare danni a diversi organi tra cui fegato, pancreas, cuore, articolazioni e gonadi. Esistono due forme di emocromatosi: una ereditaria, che è quella più diffusa, e una secondaria, dovuta a cause differenti.

Le forme ereditarie si distinguono in emocromatosi di tipo 1, di tipo 2 (a e b), di tipo 3 e di tipo 4.

L’emocromatosi ereditaria di tipo 1 (HFE correlata) è una malattia relativamente comune soprattutto nelle popolazioni di origine nord europea. Si stima che in Italia la sua frequenza sia molto variabile, da 1 caso su 500 abitanti in alcune aree del nord ad 1 caso su 2000 o 3000 abitanti nel centro-sud.

Aspetti genetici: come si trasmette l’emocromatosi?

L’emocromatosi ereditaria è legata a mutazioni in 5 diversi geni: HFE (tipo 1), HFE2 (tipo 2a), HAMP (tipo 2b), TFR2 (tipo 3) e SLC40A1 (tipo 4 o ferroportinopatia).

La forma classica, o tipo 1, è legata a mutazioni del gene HFE e si trasmette con modalità autosomica recessiva così come le forme di tipo 2 e di tipo 3. In questo caso la presenza di una sola mutazione (eterozigosi) conferisce lo stato di portatore sano, mentre la presenza di due mutazioni (eterozigosi composta o omozigosi) corrisponde al soggetto affetto. Pertanto per essere affetti da tali forme di emocromatosi ereditaria  bisogna avere due genitori portatori sani che avranno quindi il 25% di rischio di avere un figlio affetto.

La forma di tipo 4 dipende da mutazioni nel gene codificante per la proteina ferroportina e si trasmette con modalità autosomica dominante (un genitore con la mutazione, quindi affetto, ha il 50% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei propri figli).

Emocromatosi Sintomi

Ad eccezione dell’emocromatosi di tipo 2, ad insorgenza giovanile e con segni clinici severi, la sintomatologia dell’emocromatosi si manifesta dopo i 40-50 anni di età: il ferro svolge infatti la sua azione tossica in modo lento e progressivo. Tra i segni clinici più caratteristici vi è la modifica della colorazione della pelle, che appare di tonalità bronzea.

Tra gli altri sintomi si annovera la presenza di dolori articolari, dolori addominali, affaticabilità, ipogonadismo, perdita della libido, scompenso cardiaco, aritmie ed epatomegalia con cirrosi epatica che può evolvere verso l’epatocarcinoma.

L’entità del sovraccarico di ferro e le manifestazioni cliniche sono tuttavia molto variabili. Ciò è particolarmente evidente nella forma di emocromatosi più comune (tipo 1 – HFE correlata), dove solo una percentuale di persone affette (circa il 30% negli uomini e meno del 5% nelle donne) sviluppa complicanze cliniche.

Per tale ragione l’emocromatosi può essere sottostimata proprio perché i sintomi, qualora presenti, sono spesso aspecifici. Inoltre diverse patologie croniche del fegato possono presentare alterazioni degli indici del ferro che simulano la malattia rendendo pertanto più difficile la diagnosi clinica.

L’emocromatosi giovanile, che si manifesta tra 10 e 20 anni, rimane la più grave soprattutto per la compromissione cardiaca.

Emocromatosi Diagnosi

La diagnosi si basa sui test biochimici che misurano il coefficiente di saturazione della transferrina e il tasso della ferritina sierica. Le anomalie biochimiche comprendono l’aumento del ferro sierico, del coefficiente di saturazione della transferrina e dei livelli di ferritina sierica. Risulta inoltre utile la risonanza magnetica per rilevare il sovraccarico di ferro negli organi interni. L’analisi genetica volta a ricercare le mutazioni dei geni coinvolti permette di confermare la diagnosi.

La diagnosi differenziale si pone con:

  1. l’iperferritinemia secondaria all’alcolismo, ad agenti infettivi, alla sindrome polimetabolica e alle malattie infiammatorie;
  2. il sovraccarico viscerale di ferro: il sovraccarico post-trasfusionale di ferro in caso di emopatie, come la talassemia major, la drepanocitosi, le sindromi mielodisplastiche e le anemie rare

Esiste un ruolo della dieta?

L’emocromatosi ereditaria è una malattia che si manifesta in individui che hanno una dieta normale. Non vi sono indicazioni particolari se non quelle di avere una dieta equilibrata. Sebbene non vi siano evidenze scientifiche, un elevato contenuto di carne nella dieta può facilitare lo sviluppo di un più grave sovraccarico di ferro in soggetti che presentano mutazioni nei geni coinvolti.

Vino e superalcolici possono aggiungere al danno da ferro quello da alcool accelerando lo sviluppo della cirrosi. L’aumento dell’assunzione di alimenti integrali e verdure possono invece ridurre l’assorbimento del ferro a livello intestinale contribuendo a rallentarne l’accumulo.

La terapia dell’emocromatosi

La terapia si basa sulla rimozione del ferro in eccesso prima che questo determini danni d’organo irreversibili soprattutto a livello epatico. Il trattamento di prima scelta è, in genere, la flebotomia (il cosiddetto “salasso“): ogni 500 ml di sangue rimosso vengono infatti eliminati 250 mg di ferro elementare che inizialmente può essere anche su base settimanale, e successivamente ogni 1-3 mesi.

Vengono in genere utilizzate anche terapie a base di farmaci in grado di facilitare l’eliminazione del ferro attraverso l’urina. La prognosi, fatta eccezione per la tipo 2 giovanile che ha un rischio di mortalità più alto in particolare a causa dell’insufficienza cardiaca, è buona e i pazienti hanno un’aspettativa di vita normale se trattati precocemente, prima dello sviluppo di complicazioni d’organo gravi.


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