(con riferimento alle Linee Guida SIEOG)
L’esame consiste nel prelievo di un campione di villi coriali (villocentesi) o di liquido amniotico (amniocentesi) per sottoporlo ad indagini diagnostiche genetiche. Le indicazioni per cui si richiede una diagnosi prenatale invasiva sono:
1. Valutazione del cariotipo fetale
quando si verifica almeno uno dei casi di seguito elencati:
- età materna avanzata (>35 anni)
- genitore portatore di riarrangiamento cromosomico strutturale
- precedente figlio con malattia cromosomica
- malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico
2. Screening prenatale (Bi-Tritest)
che indichi un rischio elevato per sindrome di Down o altra anomalia cromosomica;
3. Esame del DNA per lo studio del DNA fetale
solo in specifiche condizioni, discusse durante la consulenza genetica pre-esame.
Il prelievo è sempre preceduto dalla consulenza genetica al termine della quale la donna deve firmare il consenso informato.
La villocentesi va eseguita generalmente tra l’11aesima e la 13esima settimana di gravidanza, l’amniocentesi tra 16esima e la 18esima.
L’esame va preceduto da un’ecografia, utile per stabilire il numero dei feti, valutare la sua/loro vitalità e la sua/loro posizione, fornire la biometria, localizzare la placenta e scegliere il punto più idoneo per l’inserzione dell’ago.
Non è necessario un ricovero ospedaliero e la donna può farla come un comune intervento ambulatoriale. Le tecniche di diagnosi prenatale invasiva comportano dei rischi e delle complicanze ovvero rischio di abortività spontanea stimabile intorno all’1%, tempi di attesa variabili in relazione alla tipologia di indagine genetica da eseguire (2-3 settimane per il cariotipo fetale) e necessità di ripetere il prelievo qualora la coltura non riuscisse per cause non dipendenti dal personale del laboratorio.