L’emocromatosi è una malattia ereditaria frequente, che comporta un aumentato assorbimento del ferro alimentare e che determina un progressivo accumulo di ferro nell’organismo. Purtroppo essa è tuttora poco considerata e spesso scoperta casualmente nel corso di esami periodici o in conseguenza della comparsa di una delle sue complicanze. Essa è spesso sottostimata per diverse ragioni:
- dà segno di sé solo negli stati avanzati;
- i sintomi qualora presenti sono aspecifici;
- la malattia e gli esami necessari per la diagnosi sono poco conosciuti;
- è frequentemente confusa con l’epatopatia alcoolica.
L’emocromatosi si presenta con frequenza maggiore tra i maschi, nelle donne la malattia è meno grave e ad inizio più tardivo. Molte persone non hanno alcun sintomo, anche nella fase avanzata della malattia.
Il ferro svolge la sua azione tossica lentamente ed in modo subdolo fino a provocare la comparsa di gravi danni quali cirrosi epatica, diabete, iper ed ipotiroidismo, impotenza nell’uomo, alterazioni mestruali nella donna e sterilità in entrambi, scompenso cardiaco e aritmie, artropatie e osteoporosi.
Queste sono le manifestazioni della malattia conclamata e compaiono generalmente dopo i 40 – 50 anni. L’emocromatosi, tuttavia, come tutte le malattie ereditarie, può presentarsi in modo vario nei diversi individui, rendendo più difficile la diagnosi.
Per scoprire il sovraccarico di ferro sono indicati degli esami semplici e poco costosi che dovrebbero essere inseriti negli esami di routine ovvero la determinazione della sideremia, della transferrina e della ferritina nel sangue; proprio quest’ultima, che è un indicatore del ferro depositato, è generalmente aumentata nell’emocromatosi.
Se tali esami risultano costantemente alterati è opportuno richiedere una consulenza genetica: in tale colloquio, ricostruendo l’albero genealogico familiare, raccogliendo la storia anamnestica del paziente e visionando gli esami eseguiti dallo stesso si procederà all’esecuzione del test genetico, prendendo in considerazione la diagnosi differenziale con altre patologie genetiche caratterizzate da un accumulo marziale nell’organismo (quali l’iperferritinemia) e optando quindi per l’analisi genetica specifica.
La Sindrome di Gilbert una malattia epatica ereditaria, caratterizzata da un ittero ereditario dell’adulto con bilirubina esclusivamente non coniugata, secondaria al deficit parziale di glucuronil-trasferasi epatica.
La malattia di Gilbert colpisce il 3-10% della popolazione. Il sintomo principale è l’iperbilirubinemia isolata non coniugata. A parte l’ittero, l’esame clinico e gli indici di funzionalità epatica sono tutti nella norma.
Nei bambini e negli adulti affetti, le crisi di ittero possono essere scatenate dal digiuno o dalle infezioni. Durante i periodi di ittero, può essere notato un lieve dolore addominale e la nausea. La malattia è legata alla diminuzione dell’attività della glucoronil-trasferasi.
L’attività enzimatica è pari al 20-30% rispetto alla norma. La mutazione è stata recentemente caratterizzata e colpisce il promotore del gene che produce l’enzima, mentre la struttura del gene (che codifica per la proteina) è normale. La trasmissione è autosomica recessiva per cui i pazienti sono omozigoti per la mutazione.
Nella stragrande maggioranza dei casi la sindrome di Gilbert è associata a un polimorfismo nel TATA-box del promotore del gene UGT1A1, dove al posto di 6 coppie adenina-timidina (TA)6 ce ne sono 7 (TA)7, e ciò determina una riduzione della produzione dell’enzima UGT1A1.
E’ necessario un fattore supplementare per indurre iperbilirubinemia, come una iperemolisi (la vita media delle emazie è spesso ridotta), una diseritropoiesi o una diminuzione della captazione della bilirubinemia da parte del fegato.
La malattia non richiede nessun trattamento ma la correttezza della diagnosi è tuttavia essenziale per evitare indagini inutili. La prognosi è eccellente e non è richiesta una presa in carico medica.